Notificazioni e comunicazioni in Europa. Il regolamento Ce n. 1348 del 2000: profili generali, la struttura e gli elementi innovativi del regolamento.

L’esigenza di approntare uno strumento più efficace per garantire la tutela giurisdizionale in Europa, nel delicato settore delle notificazioni e comunicazioni in materia civile e commerciale, ha condotto da tempo le istituzioni comunitarie a riflettere sull’introduzione di un testo, che, nelle intenzioni, doveva essere idoneo a fare chiarezza nella congerie di meccanismi convenzionali in materia e a migliorare l’efficacia delle forme di trasmissione degli atti all’estero.
Il nuovo regolamento n. 1348 del 2000 prevale, nei rapporti fra gli Stati dell’Unione, sulle disposizioni contenute in accordi o intese bilaterali o multilaterali: in specie, esso supera l’articolo IV del protocollo allegato alla convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 e la convenzione dell’Aja del 15 novembre 1965.
Sul piano delle adesioni, pesa sul regolamento l’opting out danese, pattuito ad Amsterdam: la Danimarca non ha partecipato all’adozione del regolamento e non ne è vincolata.
Prima di passare all’esame delle principali caratteristiche del regolamento, occorre fare due precisazioni.
La prima è che lo scopo dichiarato del regolamento è quello di migliorare l’efficacia delle notificazioni e comunicazioni di atti del processo civile nell’Unione. La chiave di lettura complessiva, anche in rapporto ai testi convenzionali previgenti (e tuttora in vigore, nei rapporti con la Danimarca e comunque con paesi terzi), è quella dell’effettività: effettività delle notifiche, come mezzo a fine per l’effettività della tutela giurisdizionale. Il regolamento non si applica qualora non sia noto il recapito della persona alla quale deve essere notificato o comunicato l’atto (art. 1, par. 2°) e l’idea di fondo (sia pure con talune eccezioni) è quella di considerare notificato un atto che sia realmente pervenuto al destinatario o comunque sia stato recapitato in un àmbito sociale di cui il destinatario abbia ragionevolmente disposizione. Il diritto di difesa è il punto di riferimento centrale di questa normativa, con una più convinta sottolineatura delle garanzie del notificando e con qualche minore attenzione per le esigenze del notificante.
La seconda è che il senso profondo del regolamento non può essere inteso se non in rapporto con le altre disposizioni regolamentari comunitarie in materia di processo civile. Ne emergerà una considerazione complessiva, in base alla quale, se da un lato si cerca di migliorare il livello delle notificazioni, dall’altro lato si tende a ridurre le ipotesi di notificazione all’estero, in un contesto (come accennato) di tendenziale equivalenza delle giurisdizioni.
5. – Venendo al tessuto normativo del regolamento, occorre dire che in ampia misura esso ricalca (talora con identità quasi letterale) la convenzione dell’Aja del 1965. Ribadisco però che una norma, pur se pressoché identica, non ha lo stesso significato se inserita in una convenzione internazionale o se inclusa, come nel caso che ci occupa, in un sistema complesso come quello comunitario. Il punto è di particolare rilievo per norme centrali, ai fini delle relazioni con gli altri regolamenti, come quelle di cui all’art. 19 del regolamento che, con modeste modifiche, accorpa gli artt. 15 e 16 del testo dell’Aja, ovvero per nozioni-cornice, come quella di “materia civile e commerciale”, di cui all’art. 1, par. 1°. Il regolamento si propone di migliorare sul piano pratico le modalità di trasmissione degli atti, senza particolari colpi d’ala culturali. Si cerca quindi di evitare il necessario tramite delle autorità centrali e di consentire che gli atti da consegnare al destinatario siano trasmessi dall’organo notificante collegato al foro competente all’organo notificante del luogo del destinatario in via diretta e con ogni mezzo ritenuto opportuno (artt. 2 e 4). Le autorità centrali restano, ma con funzioni di consulenza e solo eccezionalmente di supplenza (art. 3).
Ciascuno Stato è tenuto a designare gli organi mittenti e riceventi e può scegliere di indicarne uno soltanto (art. 2, par. 3°). La riuscita dell’operazione dipende, però, evidentemente, dal fatto che gli Stati estendano l’idoneità a notificare all’estero a tutti (o, almeno, a molti) dei propri organi notificanti. Va detto che le scelte inizialmente compiute sono state confortanti e che praticamente tutti i paesi membri hanno formulato designazioni totali o comunque sufficientemente ampie .
L’art. 4, par. 2°, prevede che la trasmissione degli atti possa essere effettuata con qualsiasi mezzo appropriato, alla sola condizione che il contenuto del documento ricevuto sia fedele e conforme a quello del documento spedito e che tutte le indicazioni in esso contenute siano facilmente comprensibili. Il “mezzo appropriato” sarà, di solito, la posta, ma vi è da augurarsi che prendano spazio altre forme più efficaci, che la tecnologia rende possibili.
Il dialogo diretto fra i due organi notificanti (quello mittente e quello ricevente) è facilitato, nelle intenzioni del legislatore comunitario, dall’approntamento di formulari prefissati, che accompagnano tutti gli scambi di atti e di informazioni (artt. 4-10).
In primo luogo, l’atto da notificare è corredato da una domanda, predisposta sulla base di un formulario, contenente gli elementi necessari per conseguire concretamente l’arrivo a destinazione dell’atto (art. 4, par. 3°). La domanda è redatta nella lingua ufficiale (o in una delle lingue ufficiali) dello Stato richiesto o in un’altra lingua che tale Stato abbia dichiarato di accettare. Gli atti e tutti i documenti trasmessi sono esonerati dalla legalizzazione o da altre formalità equivalenti. Se l’organo mittente desidera che gli venga restituito un esemplare dell’atto corredato del certificato di avvenuta notificazione, deve trasmettere l’atto in due esemplari (art. 4, par. 5°) .
Non appena ricevuto l’atto da notificare, l’organo ricevente inoltra al più presto e comunque non oltre sette giorni (mediante l’apposito formulario) una ricevuta all’organo mittente (art. 6, par. 1°). L’organo ricevente si impegna a superare, in spirito di collaborazione, eventuali difficoltà: se mancano informazioni o documenti, si mette in contatto con l’organo mittente per ottenerli (art. 6, par. 2°); se non è territorialmente competente ad eseguire la notifica, inoltra domanda e atto all’organo competente del proprio Stato (art. 6, par. 4°).
I casi in cui l’organo ricevente è legittimato a non dare corso alla notificazione sono pochi. Soltanto se la domanda di notificazione esula in modo manifesto dall’àmbito di applicazione del regolamento (ad esempio, perché il notificando è irreperibile: art. 1, par. 2°) o se i requisiti di forma prescritti sono così carenti da rendere impossibile la notifica, atto e domanda vengono rimandati (anche qui, a mezzo di formulario), all’organo mittente (art. 6, par. 3°). Così pure, può accadere che il destinatario rifiuti di ricevere l’atto perché non conforme alle norme sulle traduzioni: in tal caso, l’organo ricevente ne informa quello mittente, restituendogli la domanda e i documenti non tradotti (art. 8).
L’espletamento della notificazione è consacrato da un apposito certificato, che, insieme all’eventuale copia dell’atto, viene restituito all’organo mittente (art. 10).
Preoccupato di garantire l’efficacia del meccanismo, il regolamento (oltre a marginalizzare, come si è visto, le ipotesi di rifiuto dell’atto) pone termini ristretti per lo scambio di notizie fra gli organi notificanti. L’esito (o il mancato esito) della notificazione deve risultare in tempi brevi: l’art. 7, par. 2°, fissa un termine di trenta giorni dal ricevimento dell’atto per riferire all’organo mittente dell’eventuale impossibilità di eseguire la notificazione o la comunicazione (che, quindi, normalmente, devono essere eseguite prima).
Sempre in questa logica di praticità, la Commissione predispone ed aggiorna un manuale di informazioni, contenente tutti i dati utili ai fini di una proficua notificazione in altro Stato dell’Unione (art. 17). In particolare, il manuale contiene dati ed indirizzi degli organi mittenti e riceventi, nonché delle autorità centrali; la rispettiva competenza territoriale; i mezzi a disposizione per la ricezione degli atti; le lingue che possono essere impiegate per compilare i formulari; e, più in generale, tutte le disposizioni normative, adottate unilateralmente dai singoli Stati, circa l’applicabilità delle disposizioni del regolamento (in materia di date della notificazione, di ammissibilità delle forme alternative di notifica, di condizioni per la notificazione a mezzo posta, di deroghe ai meccanismi di sospensione del processo per mancata comparizione del convenuto e di rimessione in termini per l’impugnante contumace in primo grado).
E’ opportuno notare che il regolamento cerca di uniformare le modalità pratiche di notificazione e di rendere omogenei i tempi di espletamento delle singole attività. Dalla predisposizione minuziosa dei formulari, all’indicazione di tempi per ogni adempimento, per finire con il manuale per l’uso, si cerca di perseguire (nei limiti in cui la frantumazione normativa lo rende possibile) l’obiettivo di tecniche omogenee in questo settore dell’amministrazione della giustizia. Qui, più che in altri aspetti, il testo regolamentare si discosta dalla convenzione dell’Aja e in questi dettagli si racchiude uno dei significati di fondo del regolamento.
Per quanto attiene alla legge applicabile al procedimento di notificazione, si adotta normalmente (art. 7, par. 1°) il criterio della lex loci actus: pertanto, l’atto sarà notificato o comunicato secondo le regole previste dal diritto processuale del luogo del destinatario. Tuttavia, come già accade in base all’art. 5 della convenzione dell’Aja, è possibile all’organo richiedente domandare che la notificazione sia eseguita in una forma particolare, prevista dalla lex fori (ed eventualmente, non da quella dell’ordinamento richiesto), purché non incompatibile con la legislazione dell’organo ricevente.
La legge dello Stato richiesto si applica anche per determinare la data della notificazione o della comunicazione. Tuttavia (precisa l’art. 9, par. 2°), se, nell’àmbito di un procedimento da avviare o pendente nello Stato mittente, un atto deve essere notificato entro un determinato termine, la data da prendere in considerazione nei confronti del notificante è quella prevista dalla legge dello Stato mittente.
Questa disposizione non è di facile lettura.
E’ certo che si vuole dare, qui, un contrappeso di tutela al notificante. Ne viene di conseguenza che l’art. 9, par. 2°, del regolamento n. 1348 sembra assumere la veste di traduzione comunitaria della regola della scissione soggettiva del momento perfezionativo della notificazione, in linea con quanto precisato dalla Corte costituzionale italiana in tema di notifiche all’estero.
Tuttavia, occorre tenere conto dell’inserimento di questa disposizione nel contesto comunitario. Il diritto processuale comunitario è dominato dalla regola dell’effettività; conosce casi eccezionali di notificazione au parquet, ma non di scissione fra il momento di perfezionamento degli effetti per il notificante e il notificato. Inoltre, le ragionevoli preoccupazioni espresse dalla Consulta si riferiscono genericamente alle notifiche all’estero, e, quindi, anche indirizzate in Stati lontani e non ricompresi nel contesto europeo: la già ricordata lezione di Mund & Fester impedisce di considerare allo stesso modo una notifica nell’Unione e una notifica fuori dell’Unione. Anche a voler ammettere, comunque, che scissione di effetti vi sia (come anche a me pare più logico), la norma va intesa in senso restrittivo: vale a dire, il notificante salva il termine, ai fini del suo processo nazionale, se esegue entro quel termine le formalità che il suo diritto nazionale gli impone, ma ciò non implica affatto che abbia eseguito una notifica valida. I nodi evitati all’avvio del processo dovranno poi essere sciolti (a prezzo di rinnovazione della notifica e delle attività nel frattempo compiute) nelle fasi successive.
Il peso effettivo di questa disposizione va, poi, misurato in rapporto alla riconosciuta facoltà per gli Stati membri di derogare ad ogni forma di scissione di effetti della notifica. Ora, in forza dell’art. 9, par. 3°, la maggior parte dei paesi dell’Unione ha ritenuto di avvalersi della deroga: l’Italia (che seguendo la Consulta ha ritenuto di applicare integralmente l’art. 9) è rimasta in compagnia di Austria, Belgio, Grecia e Lussemburgo. Questa situazione (specchio fedele delle difficoltà, a cui sopra accennavo, di trasferire in Europa il modello italiano) porterà a non pochi problemi nei rapporti reciproci fra paesi deroganti e paesi non deroganti e potrà dare vita a ripercussioni al momento del riconoscimento, in un paese derogante, delle sentenze emesse in un paese non derogante.
Un altro aspetto di rilievo è dato dalla coesistenza, accanto al regime della trasmissione degli atti per la notifica in loco, di altre forme di notificazione, la cui applicabilità è peraltro condizionata, come nella convenzione dell’Aja, alla non opposizione dei singoli Stati. Mi riferisco alle notificazioni o comunicazioni da parte di agenti diplomatici o consolari (art. 13) o con domanda diretta della parte ai pubblici ufficiali competenti dello Stato richiesto (art. 15). Trasferita nel sistema comunitario, la flessibilità convenzionale assume però il diverso e meno gradevole sapore della frantumazione normativa, come risulta dal variegato atteggiamento dei singoli Stati nei confronti delle due diverse ipotesi.
Un deciso passo avanti consiste nel superamento della facoltà (che fa invece parte del corpus normativo dell’Aja) per gli Stati di opporsi alla notificazione a mezzo del servizio postale (art. 14): in effetti, il mantenimento di una possibile limitazione di questo tipo sarebbe stato difficilmente comprensibile nel sistema europeo. Con ciò, non tutto è risolto: gli Stati possono precisare a quali modalità condizionano la notificazione per posta e lo hanno fatto riproducendo situazioni di difformità, sia pure ad un livello inferiore.

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